Non solo pesche: ecco a voi la mia recensione di Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino
Non ho urlato al capolavoro dopo aver visto Chiamami col tuo nome. Però, nonostante siano passati alcuni giorni, continuo a pensarci, a ragionarci sopra. A fare collegamenti. E quando un film ti fa quest’effetto, è sicuramente valido. Anzi, è proprio bello, via.
Perché il pregio principale di Chiamami col tuo nome, secondo me, sta nel suo essere multisfaccettato, caratteristica che lo porta a toccare diverse corde. E fa tutto questo adottando allo stesso tempo un registro minimale e pacato, aggettivo usato dallo stesso regista Guadagnino per descrivere la campagna promozionale che ha portato il film fino agli Oscar. Ma anche se è candidato nella categoria Miglior film, non penso vincerà (ma pazienza, Guadagnino ha già vinto nella vita dirigendo il videoclip di quel capolavoro assoluto che è Vamos a bailar di Paola e Chiara).
Quest’anno il messaggio politico degli Oscar è incentrato infatti sui diritti delle donne. L’anno scorso invece la battaglia era contro la discriminazione razziale, e infatti vinse Moonlight, che sulla carta sembra simile al film di Guadagnino. Entrambi presentano un racconto di formazione e un amore gay, nonché un tono narrativamente asciutto. Ma secondo me Moonlight ha adottato tale tono per ragioni ruffiane. “Oh guardatemi sono un film lentissimo e di poca sostanza, ma spacciamo tutto questo per delicatezza narrativa”.
Invece Chiamami col tuo nome non mi ha dato l’impressione di essere una persona FALZA, anzi. Il suo mood “sussurrato” mi è sembrato il prodotto spontaneo dello stile di Guadagnino (quello presente in Io sono l’amore, piuttosto che in A bigger splash), aiutato in questo da due bravi protagonisti, in primis Timothée Chalamet che ha sfruttato il suo fascino languido e i suoi occhioni acquosi. No, a parte gli scherzi l’ho trovato davvero strepitoso, pur lavorando di sottrazione ti fa arrivare tutto il suo struggimento da primo amore.
Anche il resto dell’apparato scenico contribuisce alla bellezza delicata del film: di fatto bastano pochi accenni per catapultarci in una ricostruzione degli anni ’80 decisamente accurata ma mai appesantita da continui riferimenti all’epoca, o da un’atmosfera forzatamente plastica farcita di frequenti luci al neon e successi musicali del tempo (anche Christopher Nolan ha lodato quest’aspetto del film, dunque sono nel giusto).
E lo stesso trattamento è applicato al racconto dell’amore estivo, perno della trama. Le cicale che friniscono, quel languido abbiocco estivo che ti coglie nel pomeriggio, vedere la tua cotta estiva e sentire il cuore che ti batte forte inesorabile come cantavano le Lollipop. Insomma dai, sono concetti universali che inoltre sembra di toccare per mano, per quanto sono resi bene visivamente. Anche la campagna della bassa cremasca in cui è ambientato il film sembra trascendere lo schermo, così come la tensione sessuale tra Elio e Oliver.
Per quest’ultima caratteristica mi ha ricordato molto The Handmaiden di Park Chan-wook, anch’esso magistrale nel rendere plastica la dinamica del desiderio attraverso elementi come i movimenti di camera, il fruscio dei vestiti, la carta da parati e tante altre cose che non avrei mai pensato potessero esprimere efficacemente l’eros.
Insomma, se paragono il film di Chan-wook, che ho amato parecchio, a Chiamami col tuo nome, vuol dire che alla fin fine quest’ultimo mi è piaciuto davvero. Non ho avvertito quella fitta allo stomaco che in molti hanno sentito durante la visione, né una specifica affinità spirituale con le tematiche trattate, ma ho apprezzato la parte che forse può sembrare più superficiale ma che in realtà non lo è (sicuramente non lo è per Guadagnino), ovvero quella riguardante La Cotta Estiva e la sua componente nostalgica “happy-sad”. Avete presente no, quando finisce qualcosa e si è tristi, ma meno male che è successo questo qualcosa, nonostante tutto: miscuglio di sensazioni espresso magnificamente dal monologo del padre di Elio, che vale quasi da solo il prezzo del biglietto.
Chiamami col tuo nome è a sua volta un miscuglio ben amalgamato, di lingue (nella versione originale si parlano inglese, francese e italiano), di stili (perché in alcuni momenti la pacatezza lascia lo spazio a una morbosità Viscontiana), e di chiavi di lettura, come dicevo all’inizio. Penso che sia piaciuto e stia piacendo a molti essenzialmente per questo motivo: ognuno di noi può trovare facilmente uno spunto, una vicinanza al racconto del film. E non è certo una ragione di poco conto per apprezzarlo.