Ecco la mia recensione di Halt and Catch Fire, il period drama che racconta le evoluzioni tech degli anni ’80 e ’90
Halt and catch fire è una serie TV sul fallimento. Detta così non sembra molto allettante, lo so; del resto, se in un film o una serie guardiamo pazientemente il protagonista fallire più volte, è perché siamo piuttosto sicuri che alla fine trionferà.
Ce l’hanno insegnato centinaia di film su pugili che vincono il match della loro vita nonostante tutti gli dicessero “Fai schifo! Mia nonna sfodera un destro migliore del tuo!”, mentre centinaia di serie TV ci hanno insegnato che per quanto un detective sia tanto, estremamente triste perché gli hanno decimato tutto il parentado, il portiere del palazzo, il coniglio da compagnia, lui riuscirà comunque a risolvere quel caso che lo ossessiona.
Il sito Vulture ha scritto un articolo interessante su quest’ultima figura, spiegando che i “detective tristi” esistono affinché noi spettatori possiamo sentirli più vicini e umani. È difficile empatizzare con qualcuno che risolve sempre brillantemente i casi e per di più se ne va in giro felice come una Pasqua. Andiamo, non puoi avere tutto caro detective.
Anche Halt and Catch Fire presenta un meccanismo simile, dato che i protagonisti Donna (Kerry Bishé), Cameron (Mackenzie Davis), Gordon (Scoot McNairy) e Joe (Lee Pace) sono tutti piuttosto geniali. In quel periodo di fermento tecnologico tra gli anni ’80 e ’90, i quattro intuiscono e talvolta anticipano l’avvento di diverse innovazioni come il primo computer, le community su Internet, il World Wide Web. Messa così, pare che sappiano o abbiano inventato tutto loro.
In realtà, sebbene i protagonisti si ritrovino nel giro giusto, spesso e volentieri ne vengono spinti ai margini, a causa della massima “il pesce grande mangia il pesce piccolo” o perché semplicemente hanno fatto qualche casino. Del resto, seppur il personaggio di Joe lo ricordi parecchio, non tutti possiamo essere Steve Jobs e inventarci imperi mondiali dal garage di casa nostra: ok, magari siamo intelligenti e in gamba, ma siamo anche fallibili, esattamente come Joe, Gordon, Cameron e Donna. E certo questo lato contribuisce ad avvicinarli allo spettatore.
Tranquill@, non sono qui per dispensare banalità sulla vita come “tutti sbagliano, nessuno è perfetto” e dimostrarvi come sono zen per averle accettate con candore serafico. Col cavolo, a noi “rimuginers” piace sguazzare nella vergogna e nel rimpianto per errori commessi anni fa. Infatti se avessi sperimentato metà dei fallimenti che capitano a Cameron o Gordon in Halt and Catch Fire, probabilmente sarei andata a vivere in mezzo ai boschi (in effetti Cameron a un certo punto ci va più o meno a vivere).
Anche loro riguardo ad alcuni errori si rodono dalla bile per anni eh, strepitano, battono i piedi, compiono azioni davvero stupide, ma poi, in qualche modo, si tirano su e tornano a una situazione certo non uguale alla precedente, ma perlomeno accettabile. Si adattano al nuovo contesto, cercano di ricalibrare le loro prospettive. Shock: dimostrano che si può sopravvivere ai fallimenti.
Tra un fallimento e l’altro, comunque, Donna e gli altri hanno una fracca di lampi geniali, e anche se noi spettatori siamo ormai abituati a tutte le invenzioni per le quali loro si entusiasmano, risulta lo stesso interessante vedere il mondo geek che nasce e prende forma.
Ma questo spaccato, per quanto coinvolgente a livello narrativo ed estetico, passa in secondo piano rispetto alle interazioni tra i protagonisti: nel corso delle 4 stagioni (sì, è durato poco: amato dalla critica ma meno apprezzato dal pubblico) i rapporti tra Gordon e Donna, Joe e Cameron, si sono deteriorati e riaggiustati più volte.
Queste dinamiche sono normali in ogni serie TV, bisogna aggiungere un po’ di pepe o la vicenda si spegne, eppure in Halt and Catch Fire si sentiva che i legami tra i personaggi cambiavano in maniera ragionata e naturale, non solo per movimentare forzatamente la trama. E se gli autori avessero avuto più stagioni a disposizione, gli archi evolutivi si sarebbero svolti con ancora più calma.
Nonostante ciò, il finale è stato comunque degno dell’intera serie: infatti ha dimostrato ancora una volta che in Halt and Catch Fire non conta tanto l’idea in sé quanto il processo precedente e successivo a quell’idea, e soprattutto come si comporteranno le persone coinvolte nel processo. Perché sì, i computer sono affascinanti, ma, come Terminator insegna, le persone lo sono di più. O come dice Joe nella serie, “Computers are not the thing, they are the thing that gets us to the thing”.